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ora doveva pur rientrare alla base.
Si frugò in tasca, estrasse le due sigarette e le con-
frontò. Una si era tagliuzzata a metà e l altra perdeva ta-
bacco da un capo. Si mise tra le labbra quest ultima, ma
poi non gli riuscí di trovare la minima superficie asciutta
su cui sfregare lo zolfanello. C erano sí le guance zigri-
nate del calcio della Colt, ma non si sentí di farlo. Con
un risolino di disperazione rimise in tasca la sigaretta e si
cacciò avanti per il ciglione.
Marciava seguendo ininterrottamente con gli occhi le
rotaie parallele alla strada. Erano rugginose e maschera-
te qua e là da ciuffi di erbaccia fradicia, deserte, inviola-
te da treni dal giorno dell armistizio. Per Milton la stra-
da ferrata diceva ancora «otto settembre», forse
l avrebbe detto sempre.
Si rivide di ritorno a casa, sporco e camuffato, stan-
chissimo ma con nessunissima voglia di coricarsi e nem-
meno di sedersi, in quella grigia e calda mattina del tre-
dici settembre. Sua madre non riusciva a credere, volle
toccarlo, ancora incredula volle scostargli di dosso i
panni presi d accatto, detergergli dal viso la polvere...
«Da Roma!? disse. Sei tornato da Roma! Io vedevo
l inferno che succedeva nella nostra piccola Alba e mi fi-
guravo quel che capitava a Roma. Non credevo che ce la
facessi, sai? Un ragazzo come te, sempre con la testa nel-
le nuvole.. .» Invece ce l aveva fatta; non ne aveva mai
dubitato, dal momento che era salito su quel mostruoso
treno a Termini. Sapeva che avrebbe avuto fortuna, for-
tuna nella infinita disgrazia dell esercito.
«E... la signorina di Torino?» Ecco che usava
l espressione immancabile di sua madre per indicare
Fulvia, quell espressione ironica e trepida insieme, forse
presaga. «L ho vista spesso, gli rispose, era spesso in
85
Letteratura italiana Einaudi
Beppe Fenoglio - Una questione privata
città, coi ragazzi riformati». Poi guardò basso e aggiun-
se: «È tornata a Torino. Tre giorni fa», e allora Milton
era andato, brancolando, alla ricerca di una sedia.
Al campanile di Santo Stefano batté fioco un mezzo
tocco, senza che Milton potesse dire se erano le otto e
mezzo o le nove e mezzo.
Ai piedi dello sperone sentí scoccare le dieci, e queste
erano certamente i campanili di Canelli a batterle.
Il cielo si era purgato di ogni macchia e fumosità ed
era ora perfettamente bianco. Non pioveva, ma il foglia-
me di alberi e arbusti crepitava monotonamente.
Saliva con lentezza ed attenzione, perché il sentiero a
lastroni di tufo spalmati di fango era scivolosissimo e per-
ché già si trovava nel raggio di azione di pattuglie even-
tualmente staccate da Canelli in perlustrazione. Malgrado
quella immediata, repentina possibilità di pericolo, sma-
niava per la voglia di fumare, ma anche quassú non trova-
va un centimetro quadro asciutto su cui sfregare lo zolfa-
nello. Ripensò alle guance zigrinate della Colt ma ancora
non si sentí di maltrattare a quel modo la sua pistola.
Inoltre, in quel preciso momento si trovava a piú di
due terzi della salita sentí sulla strada dietro lo sperone
il fragore della colonna che rientrava a Canelli dalla
puntata a Santo Stefano. A giudicar dal rumore, i ca-
mions erano lanciati alla massima velocità lungo la stra-
da sfondata. «Sono in gamba», pensò con tristezza. Il
rombo si spense rapidamente nel fondovalle, ma per ri-
prendere a salire Milton aspettò che gli si fosse comple-
tamente scaricato lungo la spina dorsale il tremito mes-
sogli dentro dal rumore dei nemici. Aiutò quello scarico
con un languido scrollo di tutto il corpo e ripartí.
Calcolava che al momento in cui si sarebbe affacciato
sul ciglione la colonna sarebbe già rientrata intera in ca-
serma. A proposito di questa, Milton sapeva che la San
Marco era accantonata nella ex Casa Littoria, ma, non
86
Letteratura italiana Einaudi
Beppe Fenoglio - Una questione privata
essendo stato mai a Canelli, ignorava dove questa fosse
situata. Era però certo di individuarla alla prima occhia-
ta nel grosso paese mezzo rustico e mezzo industriale.
Non pensava alla caserma come a un traguardo, bensí
come a un indispensabile punto di riferimento.
Salí piú velocemente e a un passo dalla cresta tratten-
ne il respiro aspettandosi di vedere immediatamente il
paese sottostante. Ma la cresta si smussava in un ampio
spiazzo incolto, disseminato di cardi selvatici. Lo percor-
se rannicchiato, sorvegliandosi ai lati. L unica casa visibi-
le stava a duecento passi a sinistra, affiorava appena coi
tetti nerastri da un viluppo di vegetazione fradicia.
Arrivò in scivolata dietro un roveto in bilico sul ciglio,
ci si acquattò dietro e di tra i rami guardò giú a Canelli.
Un solo sguardo, rapido e comprensivo, poi subito si
diede a esplorare i viottoli e le stradine che rimontavano
il versante, se non ci fossero pattuglie al lavoro. Nulla e
nessuno, e allora si concentrò a studiare il paese.
Era perfettamente, innaturalmente deserto e silenzio-
so, privo anche di quel brusio che pur si leva dal piú pic-
colo borgo. Attribuí quella totale inanimazione al pas-
saggio fresco fresco della colonna rientrata da Santo
Stefano. L unico segno di vita era il fumigare bianco e
denso dei comignoli, il fumo bianco subito si mimetizza-
va nel bianco cielo bassissimo.
Individuò la Casa Littoria. Un grosso cubo di un ros-
so dilavato, molto scrostato, con le finestre semiaccecate
da assiti e da sacchetti a terra, con una torretta sulla qua-
le con tutta probabilità stava una sentinella col binoco-
lo. Ma era anche probabile che quella guardia sorve-
gliasse costantemente le colline dirimpetto il versante di
Milton, brulicanti di rossi.
Cercò di ficcare lo sguardo nel cortile della caserma,
l alto muro laterale non gli lasciò scorgere altro che una
striscia deserta del cortile, con in fondo un porticato
vuoto.
87
Letteratura italiana Einaudi
Beppe Fenoglio - Una questione privata
Si sporse ad esaminare l abitato alle falde del suo ver-
sante. Muto e deserto, era un sobborgo completamente
rustico, salvo per una grossa segheria, inattiva.
Sospirò, non sapendo che fare. Con la mano sulla
fondina sbottonata, non sapeva che fare. Vide oltre una
gobba un canneto, ci arrivò in quattro sbalzi e di tra le
canne riesaminò il paese. Nulla di mutato, si era accen-
tuata l eruzione dei comignoli.
Non sapeva che fare, all infuori di scendere oltre. Scel-
se come secondo traguardo un casotto per attrezzi, nulla
piú di un tetto montato su quattro pali, nel mezzo di una
vigna, ormai a mezzacosta. C era un sentiero apposito, ma
cosí diritto e ripido, cosí allineato alla torretta della caser-
ma che Milton non poteva assolutamente fidarsi di per-
correrlo. Cosí arrivò al casotto tra i filari, sforzando tralci
e fili di ferro, affondando alla caviglia in un fango giallo
come zolfo, tenace come mastice. Si appostò dietro un
palo di sostegno ma subito scrollò la testa, miserabilmen-
te interdetto. «Non è il mio genere, si diceva, non è
proprio il mio affare. Conosco uno solo che ci si trovereb-
be male come me. Anzi peggio. Ed è proprio Giorgio»
Ma gli restava il coraggio di scendere ancora. Aveva
adocchiato un contenitore di verderame al termine
dell ultima vigna confinante con la sodaglia che poi si in-
nestava al piano. Scendere oltre gli conveniva, anche nel
caso che avesse dovuto fuggire davanti all apparizione di
una pattuglia dal paese. Avrebbe cercato di salvarsi late-
ralmente, indifferente se a destra o a sinistra, comunque
non certo risalendo il versante. A guardarlo dal basso gli
appariva ora come una muraglia, plasticata di fango. [ Pobierz całość w formacie PDF ]
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ora doveva pur rientrare alla base.
Si frugò in tasca, estrasse le due sigarette e le con-
frontò. Una si era tagliuzzata a metà e l altra perdeva ta-
bacco da un capo. Si mise tra le labbra quest ultima, ma
poi non gli riuscí di trovare la minima superficie asciutta
su cui sfregare lo zolfanello. C erano sí le guance zigri-
nate del calcio della Colt, ma non si sentí di farlo. Con
un risolino di disperazione rimise in tasca la sigaretta e si
cacciò avanti per il ciglione.
Marciava seguendo ininterrottamente con gli occhi le
rotaie parallele alla strada. Erano rugginose e maschera-
te qua e là da ciuffi di erbaccia fradicia, deserte, inviola-
te da treni dal giorno dell armistizio. Per Milton la stra-
da ferrata diceva ancora «otto settembre», forse
l avrebbe detto sempre.
Si rivide di ritorno a casa, sporco e camuffato, stan-
chissimo ma con nessunissima voglia di coricarsi e nem-
meno di sedersi, in quella grigia e calda mattina del tre-
dici settembre. Sua madre non riusciva a credere, volle
toccarlo, ancora incredula volle scostargli di dosso i
panni presi d accatto, detergergli dal viso la polvere...
«Da Roma!? disse. Sei tornato da Roma! Io vedevo
l inferno che succedeva nella nostra piccola Alba e mi fi-
guravo quel che capitava a Roma. Non credevo che ce la
facessi, sai? Un ragazzo come te, sempre con la testa nel-
le nuvole.. .» Invece ce l aveva fatta; non ne aveva mai
dubitato, dal momento che era salito su quel mostruoso
treno a Termini. Sapeva che avrebbe avuto fortuna, for-
tuna nella infinita disgrazia dell esercito.
«E... la signorina di Torino?» Ecco che usava
l espressione immancabile di sua madre per indicare
Fulvia, quell espressione ironica e trepida insieme, forse
presaga. «L ho vista spesso, gli rispose, era spesso in
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Letteratura italiana Einaudi
Beppe Fenoglio - Una questione privata
città, coi ragazzi riformati». Poi guardò basso e aggiun-
se: «È tornata a Torino. Tre giorni fa», e allora Milton
era andato, brancolando, alla ricerca di una sedia.
Al campanile di Santo Stefano batté fioco un mezzo
tocco, senza che Milton potesse dire se erano le otto e
mezzo o le nove e mezzo.
Ai piedi dello sperone sentí scoccare le dieci, e queste
erano certamente i campanili di Canelli a batterle.
Il cielo si era purgato di ogni macchia e fumosità ed
era ora perfettamente bianco. Non pioveva, ma il foglia-
me di alberi e arbusti crepitava monotonamente.
Saliva con lentezza ed attenzione, perché il sentiero a
lastroni di tufo spalmati di fango era scivolosissimo e per-
ché già si trovava nel raggio di azione di pattuglie even-
tualmente staccate da Canelli in perlustrazione. Malgrado
quella immediata, repentina possibilità di pericolo, sma-
niava per la voglia di fumare, ma anche quassú non trova-
va un centimetro quadro asciutto su cui sfregare lo zolfa-
nello. Ripensò alle guance zigrinate della Colt ma ancora
non si sentí di maltrattare a quel modo la sua pistola.
Inoltre, in quel preciso momento si trovava a piú di
due terzi della salita sentí sulla strada dietro lo sperone
il fragore della colonna che rientrava a Canelli dalla
puntata a Santo Stefano. A giudicar dal rumore, i ca-
mions erano lanciati alla massima velocità lungo la stra-
da sfondata. «Sono in gamba», pensò con tristezza. Il
rombo si spense rapidamente nel fondovalle, ma per ri-
prendere a salire Milton aspettò che gli si fosse comple-
tamente scaricato lungo la spina dorsale il tremito mes-
sogli dentro dal rumore dei nemici. Aiutò quello scarico
con un languido scrollo di tutto il corpo e ripartí.
Calcolava che al momento in cui si sarebbe affacciato
sul ciglione la colonna sarebbe già rientrata intera in ca-
serma. A proposito di questa, Milton sapeva che la San
Marco era accantonata nella ex Casa Littoria, ma, non
86
Letteratura italiana Einaudi
Beppe Fenoglio - Una questione privata
essendo stato mai a Canelli, ignorava dove questa fosse
situata. Era però certo di individuarla alla prima occhia-
ta nel grosso paese mezzo rustico e mezzo industriale.
Non pensava alla caserma come a un traguardo, bensí
come a un indispensabile punto di riferimento.
Salí piú velocemente e a un passo dalla cresta tratten-
ne il respiro aspettandosi di vedere immediatamente il
paese sottostante. Ma la cresta si smussava in un ampio
spiazzo incolto, disseminato di cardi selvatici. Lo percor-
se rannicchiato, sorvegliandosi ai lati. L unica casa visibi-
le stava a duecento passi a sinistra, affiorava appena coi
tetti nerastri da un viluppo di vegetazione fradicia.
Arrivò in scivolata dietro un roveto in bilico sul ciglio,
ci si acquattò dietro e di tra i rami guardò giú a Canelli.
Un solo sguardo, rapido e comprensivo, poi subito si
diede a esplorare i viottoli e le stradine che rimontavano
il versante, se non ci fossero pattuglie al lavoro. Nulla e
nessuno, e allora si concentrò a studiare il paese.
Era perfettamente, innaturalmente deserto e silenzio-
so, privo anche di quel brusio che pur si leva dal piú pic-
colo borgo. Attribuí quella totale inanimazione al pas-
saggio fresco fresco della colonna rientrata da Santo
Stefano. L unico segno di vita era il fumigare bianco e
denso dei comignoli, il fumo bianco subito si mimetizza-
va nel bianco cielo bassissimo.
Individuò la Casa Littoria. Un grosso cubo di un ros-
so dilavato, molto scrostato, con le finestre semiaccecate
da assiti e da sacchetti a terra, con una torretta sulla qua-
le con tutta probabilità stava una sentinella col binoco-
lo. Ma era anche probabile che quella guardia sorve-
gliasse costantemente le colline dirimpetto il versante di
Milton, brulicanti di rossi.
Cercò di ficcare lo sguardo nel cortile della caserma,
l alto muro laterale non gli lasciò scorgere altro che una
striscia deserta del cortile, con in fondo un porticato
vuoto.
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Letteratura italiana Einaudi
Beppe Fenoglio - Una questione privata
Si sporse ad esaminare l abitato alle falde del suo ver-
sante. Muto e deserto, era un sobborgo completamente
rustico, salvo per una grossa segheria, inattiva.
Sospirò, non sapendo che fare. Con la mano sulla
fondina sbottonata, non sapeva che fare. Vide oltre una
gobba un canneto, ci arrivò in quattro sbalzi e di tra le
canne riesaminò il paese. Nulla di mutato, si era accen-
tuata l eruzione dei comignoli.
Non sapeva che fare, all infuori di scendere oltre. Scel-
se come secondo traguardo un casotto per attrezzi, nulla
piú di un tetto montato su quattro pali, nel mezzo di una
vigna, ormai a mezzacosta. C era un sentiero apposito, ma
cosí diritto e ripido, cosí allineato alla torretta della caser-
ma che Milton non poteva assolutamente fidarsi di per-
correrlo. Cosí arrivò al casotto tra i filari, sforzando tralci
e fili di ferro, affondando alla caviglia in un fango giallo
come zolfo, tenace come mastice. Si appostò dietro un
palo di sostegno ma subito scrollò la testa, miserabilmen-
te interdetto. «Non è il mio genere, si diceva, non è
proprio il mio affare. Conosco uno solo che ci si trovereb-
be male come me. Anzi peggio. Ed è proprio Giorgio»
Ma gli restava il coraggio di scendere ancora. Aveva
adocchiato un contenitore di verderame al termine
dell ultima vigna confinante con la sodaglia che poi si in-
nestava al piano. Scendere oltre gli conveniva, anche nel
caso che avesse dovuto fuggire davanti all apparizione di
una pattuglia dal paese. Avrebbe cercato di salvarsi late-
ralmente, indifferente se a destra o a sinistra, comunque
non certo risalendo il versante. A guardarlo dal basso gli
appariva ora come una muraglia, plasticata di fango. [ Pobierz całość w formacie PDF ]